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Eluana Englaro (Lecco, 25 novembre 1970 – Udine, 9 febbraio 2009) è stata una donna italiana che, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni. Dopo un incidente d’auto, Eluana, 20 anni, cade in uno stato vegetativo permanente. Ricoverata a Lecco, è alimentata con un sondino.
La ragazza respira autonomamente pur senza coscienza, a causa della corteccia cerebrale necrotizzata.Dopo un anno, la regione superiore del cervello di Eluana
è andata incontro a una degenerazione definitiva. I medici non lasciano alcuna speranza di ripresa.

Il fine vita

La richiesta della famiglia di interrompere l’alimentazione forzata, considerata un inutile accanimento terapeutico, scatenò in Italia un notevole dibattito sui temi legati alle questioni di fine vita. Dopo un lungo iter giudiziario, l’istanza è stata accolta dalla magistratura per mancanza di possibilità di recupero della coscienza, ed in base alla volontà della ragazza, ricostruita tramite testimonianze. Diverse amiche intime della giovane riferirono che, avendo appreso di un gravissimo incidente stradale che aveva coinvolto un amico rimasto in coma, Eluana aveva dichiarato che sarebbe stato preferibile morire che sopravvivere privi di coscienza e volontà e completamente dipendenti dalle cure altrui, ammettendo anche di aver pregato perché l’amico si spegnesse senza ulteriori sofferenze ed umiliazioni. In un’altra occasione, commentando un analogo episodio che aveva coinvolto un compagno di scuola morto in un incidente di moto, Eluana aveva dichiarato: “nella disgrazia è stato fortunato a morire subito“. Proprio discutendo in famiglia della tragedia capitata all’amico, la giovane aveva dichiarato anche ai propri genitori che non avrebbe potuto tollerare che lo stesso capitasse a lei e che per quanto la riguardava avrebbe preferito la morte rispetto ad una sopravvivenza del genere ed aveva ripetutamente chiesto loro di non permettere mai che qualcosa del genere le capitasse.

Il caso Englaro fu alimentato anche da notizie soggettive e divergenti riguardo alle sue reali condizioni fisiche. Vi fu chi dichiarò ad esempio che la giovane era in grado di deglutire nonostante, a seguito dell’incidente che l’aveva coinvolta, avesse riportato una paresi dalla nuca in giù che le impediva non solo la deglutizione di cibi solidi ma anche della stessa saliva, al punto che la donna era mantenuta costantemente girata di fianco per evitare rigurgiti e soffocamento. Persino durante gli ultimi giorni di vita della donna, si rincorsero sui media dichiarazioni contrastanti e spesso assai fantasiose circa le reali condizioni di Eluana, con numerose persone non meglio identificate che asserivano di averle fatto visita presso l’hospice di Udine ove si trovava, trovandola “bellissima” e “tranquilla”; ciò malgrado la struttura sanitaria fosse costantemente presidiata e la stanza dove la giovane si trovava fosse controllata costantemente proprio al fine di non permettere l’ingresso di estranei al di fuori del padre e del personale sanitario. La vicenda della giovane Eluana e della battaglia intrapresa dalla sua famiglia perché le sue volontà venissero rispettate, al di là del clamore mediatico suscitato, ha contribuito a portare alla luce alcune gravi lacune del sistema giuridico italiano per quanto riguarda vicende bioetiche analoghe, riaprendo il dibattito su una eventuale legge che prenda in considerazione forme di testamento biologico.

Il 14 dicembre del 2017 il Parlamento ha approvato il primo testo di legge che regola e disciplina le DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento), le quali prevedono espressamente le possibilità in cui delle dichiarazioni precedentemente rese da un paziente in stato d’incoscienza siano vincolanti per il medico curante, così attuando il prescritto del secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, che afferma “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

L’attuazione del protocollo

Il 3 febbraio 2009, alle ore 1:30, un’ambulanza con a bordo Eluana Englaro lasciò la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco giungendo, intorno alle 6:00, presso la Residenza Sanitaria Assistenziale “La Quiete” di Udine. Tale struttura si dichiarò disponibile ad ospitare la Englaro per l’attuazione della sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata. Un’équipe di circa quindici tra medici e infermieri, volontari ed esterni alla clinica, si rese disponibile ad attuare il protocollo terapeutico concordato con la famiglia Englaro conformemente a quanto disposto in decreto dalla Corte d’Appello di Milano. Nello spazio antistante la clinica, alcuni manifestanti si assieparono protestando contro ciò che dichiaravano essere una “condanna a morte”, inveendo contro il padre della giovane e urlando a voce alta “Eluana svegliati“. Alcune persone tentarono di gettarsi fisicamente contro l’autoambulanza che trasportava la giovane, venendo prontamente allontanati dalla forza pubblica.

Al mattino del 6 febbraio 2009 l’équipe annunciò l’avvio della progressiva riduzione dell’alimentazione.

La seconda iniziativa politica

Quello stesso pomeriggio, il Consiglio dei Ministri approvò un decreto legge per impedire la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti. In precedenza il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva inviato una lettera al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi indicando forti perplessità circa l’ipotesi di intervenire per decreto sull’attuazione della sentenza e riserve sulla costituzionalità dello stesso, in risposta al Presidente del Consiglio Berlusconi che si era spinto ad affermare che Eluana Englaro aveva ancora “un bell’aspetto” ed un’aria sana, ciò pur senza mai aver visto di persona la donna, nonostante l’appello del padre a farle visita per rendersi personalmente conto delle pietose condizioni in cui era ridotta e concludendo “potrebbe in ipotesi anche generare un figlio” nonostante lo stato vegetativo permanente e la paresi, probabilmente fondando la propria affermazione su quanto dichiarato dalle suore che avevano avuto in cura Eluana, che avevano riportato come la donna avesse ancora sporadicamente il ciclo mestruale.

In tale occasione il Presidente del Consiglio aggiunse anche che, a suo parere, unico desiderio del padre della ragazza sarebbe stato quello di “togliersi di mezzo una scomodità” e rivolgendo invece parole d’elogio alle suore della struttura medica che assisteva la giovane senza fare menzione alcuna della famiglia di Eluana.

Il Presidente della Repubblica si rifiutò di firmare il decreto poiché non superava le obiezioni di incostituzionalità precedentemente espresse.

Alle ore 20 il Consiglio dei Ministri, riunito in sessione straordinaria, approvò un disegno di legge con gli stessi contenuti del decreto precedentemente rifiutato. Tale disegno di legge fu immediatamente trasmesso al Senato che si riunì per discuterne in sessione straordinaria lunedì 9 febbraio 2009 (normalmente il lunedì l’Aula di Palazzo Madama è chiusa). Durante la giornata molti commentatori e leader politici stigmatizzarono lo scontro istituzionale in atto fra il governo e il Capo dello Stato.

La sera del 7 febbraio 2009 alcuni media diffusero la notizia secondo cui “per la gravità della situazione” sarebbe stato modificato il protocollo, anticipando la sospensione totale dell’idratazione e dell’alimentazione. I legali della famiglia Englaro precisarono in seguito che il protocollo non ha subito modifiche ma è differente rispetto a quello previsto per il ricovero alla clinica “Città di Udine”.

Il caso Englaro fu seguito anche dalla stampa internazionale.

La morte di Eluana Englaro sopravvenne alle 19:35 del 9 febbraio 2009. La notizia giunse in Senato durante la discussione DDL n° 1369 in materia di alimentazione e idratazione, suscitando clamore e reazioni scomposte nell’aula. Alle 20:40 la notizia fu confermata anche da Ines Domenicali, presidente della Residenza sanitaria assistenziale nella quale Eluana Englaro era ricoverata. Il Governo, di concerto con la presidenza del Senato e i gruppi parlamentari, in conseguenza di ciò, ritirò il disegno di legge in cambio dell’immediata discussione del testo più articolato relativo al testamento biologico e alla disciplina dei casi di fine vita.

L’11 febbraio successivo, dall’esame autoptico effettuato su ordine della procura della Repubblica di Trieste, si evinse che la causa del decesso di Eluana Englaro fu arresto cardiaco derivante da disidratazione, compatibile quindi con il protocollo previsto e citato nella perizia. L’esame autoptico rivelò inoltre le condizioni gravemente deteriorate del fisico della donna ed in particolare dei polmoni e dell’apparato respiratorio in generale; di fatto, a causa della paresi e del prolungato decubito, i polmoni di Eluana erano irrigiditi ed ossificati e le orecchie deformate a causa delle ore trascorse distesa su un fianco. Il cervello della donna, inoltre, presentava lesioni di devastante gravità, ad ulteriore conferma che la sfortunata giovane, fin dal momento dello schianto automobilistico, aveva irreparabilmente perso le proprie funzioni cognitive e comunicative. Le esequie si tennero il 12 febbraio alle ore 14 nella chiesetta di san Daniele a Paluzza in forma strettamente privata. Al termine del rito fu sepolta nella tomba di famiglia nel cimitero cittadino

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